il tittalogo
cioè: di tutto un pò ....
"l'angolo dello spirito"
In questa sede il ragionamento non può che essere schematico, ma in grado di fornire comunque una lettura comprensibile e che rende accettabile la vita, qualunque sia la sua declinazione e perché le affida, dal nascere, la stessa dignità al pari di tutte le altre persone.
Dunque, il presupposto delle religioni è che esiste un Dio.
Peraltro, non a caso, nella storia dell’umanità l’uomo ha sempre fatto affidamento sull’esistenza di un Essere Superiore per dare un senso alla propria vita.
A volte questa ricerca si è limitata ad attribuire la qualità di “Essere Superiore” a soggetti per allora ritenuti irraggiungibili come il Sole, la Luna, ed altri astri, magari solo per placare l’affannosità del bisogno, comunque, di una risposta sulla propria esistenza.
Nel mondo di oggi il bisogno di Dio non si è affatto placato, perché proviene dal più profondo di noi stessi, a prescindere dalla conseguente adesione o meno a qualsiasi forma di religiosità.
A prescindere, quindi, dalla fede di ognuno di noi, secondo me non esistono alternative alla credenza dell’esistenza di Dio, ed è per questo che faccio sempre molta fatica a comprendere le teorizzazioni sull'ateismo, ma questo investe un altro filone di ragionamento.
Se allora esiste un Dio possiamo dire di aver già chiarito il senso della vita?
Affatto. Questo ci consente soltanto di sostenere che esiste “un senso della vita”.
Allora dobbiamo proseguire il ragionamento intrapreso per individuare il senso della nostra vita, cioè quella di ciascuno di noi, se è vero che siamo esseri unici ed inconfondibili titolari di uno specifico progetto di vita.
Secondo me, per dare una risposta personale al senso della propria vita, bisogna riuscire a percepire, od almeno intuire per quanto umanamente possibile, quale possa esser il progetto che è stato costruito su ciascuno di noi e regolarci di conseguenza.
Scoprire il senso della nostra vita significa acquisire la consapevolezza di noi stessi e della nostra identità profonda, uscendo dalla superficialità abituale.
Problema complicato, ma non impossibile ed, ovviamente, la religione può indicarci il percorso interpretativo che dobbiamo individualmente intraprendere, partendo dall’introspezione del nostro essere, soffermandoci su quelli che, secondo noi, possono essere considerati i nostri talenti, cioè i nostri punti di forza, fisici, mentali, spirituali, le nostre qualità positive, le nostre propensioni, le cose che ci riescono bene ed a cui siamo portati con facilità, i percorsi ricorrenti nel tempo come ”cose” già vissute.
Cioè i doni di cui siamo stati dotati. Ognuno di noi ha ricevuto questi doni, anche se molte volte non siamo in grado di distinguerli, oppure ritenerli tali.
E, di converso, dobbiamo individuare i nostri punti deboli, i nostri limiti, le cose che non potremo mai realizzare nonostante il forte desiderio, e non vivere questa consapevolezza come fosse “una colpa”, un vincolo. Sappiamo, questo si con certezza, che tutto ciò non è dipeso da noi; non siamo stati noi i progettisti della nostra esistenza.
Per esempio, se siamo nati brutti, siamo nati brutti e basta, perché il nostro progetto di vita non prevedeva la nostra partecipazione a Miss Italia o quant’altro, ma ad altre cose. Inutile farsene un cruccio.
Dare senso alla propria vita significa, in definitiva, scoprire a quali cose siamo stati destinati, attraverso l’individuazione e la valorizzazione dei nostri mezzi positivi (talenti) ed alla presa di coscienza dei nostri limiti.
Credo che, alla fine, sia giusto che ognuno di noi possa essere chiamato a rispondere di come ha utilizzato nella vita gli strumenti ed i mezzi di cui è stato inconsapevolmente dotato.
Nessun Essere Superiore, firmatario del progetto di vita, potrebbe mai chiamarci a rispondere di cose per cui non siamo stati attrezzati.
Per chi crede nel Vangelo, la parabola sui talenti è significativa in questo senso.
Nello stesso tempo potrebbero essere comprensibili, invece, forti responsabilità nei confronti di chi, pur avendo molti mezzi in dotazione, li abbia usati male. E gli esempi, nella vita reale, sono innumerevoli.
Se ci pensiamo bene questa, seppur ipotetica, impostazione della vita è connaturata ad un forte senso di giustizia perché attribuisce parità di condizione (cioè stesse regole del gioco) e pari dignità a tutte le persone, qualunque sia il loro percorso di vita.
Di questi argomenti si potrebbe parlare all’infinito.
Ma non sfuggirà a nessuno che la riflessione su questa materia così delicata è stata affrontata senza disporre di particolari strumentazioni filosofiche e teologiche, ma semplicemente con gli strumenti derivanti dalla esperienza di vita vissuta che è la ordinaria ordinaria di una persona qualsiasi.
Ed è per questo che ognuno potrà interpretarle come meglio vorrà.
Ovviamente, chi potrà usufruire anche del dono della fede, potrà bypassare tutti i ragionamenti finora effettuati perché avrà già la fortuna di avere le risposte giuste dentro
Interrogarsi sul senso della vita
Sono portato a credere che l’uomo di ogni tempo non possa sfuggire al bisogno di dare risposta alla domanda fondamentale su quale sia il senso della propria vita.
Credo che, a prescindere dal tempo, dalla cultura, dalla razza, dalla religione la ricerca di una risposta a questa domanda impegni ogni essere umano in maniera più impegnativa di quello che pensiamo perché, molte volte, l’esplorazione interiore avviene in maniera inconsapevole seppur tormentata, a volte in maniera nascosta o “da dietro le quinte”, a volte in maniera meditata e, quindi, in profondità.
Il punto di partenza non potrà che essere questo: la nostra esistenza non è dipesa da noi.
Non abbiamo potuto scegliere se venire al mondo oppure no, in quale luogo nascere, da quali genitori e con quali caratteristiche, cioè pregi o difetti, talenti o limiti, che pure caratterizzano ogni individuo.
Eppure esistiamo. Qualcuno o qualcosa ha deciso per noi ed ha fatto in modo che ciò avvenisse.
Ma anche quando abbiamo potuto prendere coscienza di esistere ci siamo subito dovuti rendere conto che lo svolgimento stesso della vita non dipende da noi o, meglio, non totalmente da noi.
Non solo perché non possiamo stabilire la data della morte (se non per un atto cruento, volontario e disperato) ma perché non possiamo governarla come vorremmo.
A volte abbiamo l’illusione di poter fissare le regole del gioco.
Ma, appunto, è soltanto un’illusione perché di fronte ai problemi della vita di tutti i giorni, ci rendiamo conto che le cose non vanno quasi mai come noi vorremmo che andassero o che abbiamo previsto.
Anzi, più siamo sicuri di poter decidere tutto da soli, più ci rendiamo conto che “le cose” vanno come debbono andare, cioè in un’altra direzione.
Altre volte, cose non volute o previste, avvengono comunque lo stesso.
Certi aggiustamenti di rotta riusciamo pure a farli perché siamo dotati di intelletto e di capacità di discernere, ma i registi del film della nostra vita non siamo noi perché la sceneggiatura di base non porta la nostra firma.
Alcuni attribuiscono tutto questo alla fatalità, al destino, alla fortuna, al caso, alle coincidenze e, magari, ad un creatore.
Chiamiamolo pure tutto questo come vogliamo. Ma questo è un dato di fatto e, quindi, un ottimo punto di partenza per qualsiasi ragionamento.
Ed infatti, se qualcun altro o qualcosa esterno a noi stessi ha firmato il progetto della nostra vita, sorgono spontanee altre domande inquietanti.
Perché sono nato proprio io e non un altro al posto mio?
Qual’è il motivo, la ragione essenziale della mia esistenza?
Cosa si vuole che io faccia nella vita e quale obiettivo da raggiungere è stato costruito su di me? Quali personali responsabilità ne scaturiscono?
Come debbo utilizzare le mie risorse (talenti e pregi) e come non farmi condizionare dai miei limiti (difetti e carenze)?
Appare subito chiaro che una risposta a tutti queste domande, per essere credibile, deve poter riguardare tutte le persone, indipendentemente dal tempo e dal luogo. Come le leggi naturali.
Perché un altro punto mi sembra di poter dare per condivisibile e, cioè, che ogni uomo è un essere a sè, unico e diverso da ogni altro, non confondibile.
Ognuno di noi, quindi, deve dover rispondere ad un progetto specifico per un obiettivo preciso.
Ma le regole che governano la vita di tutti noi non possono che essere regole valide per tutti e poi calibrate sulle nostre specificità di persone uniche.
E’ inevitabile che, a questo punto, la filosofia della vita s’incrocia inesorabilmente con quella delle religioni.
Ed infatti ogni religione, anche per non dover sottostare all’improbabile teoria del “caos” ha elaborato risposte ai quesiti dell’esistenza dell’uomo e tutte sono partite, però, da una concezione di base (per scelta filosofica o per verità rivelata) secondo la quale inevitabilmente esiste un Creatore al di sopra di noi, con un progetto sopra-ordinato più complesso e, per forza di cose, non comprensibile (se non per quanto rivelato), ed ognuno di noi, proprio così come siamo fatti, svolge il ruolo di un “ingranaggio” preciso di questo progetto.
Proprio da questa impostazione concettuale scaturisce la centralità e la dignità dell’uomo inteso come persona in quanto é, cioè esiste, e basta questa condizione per renderla portatrice di dignità, cioè uguale a tutte le altre, a prescindere dalle sue condizioni sociali, economiche, di razza, di salute, di cultura, di luogo, di tempo e di religione, nonché dagli strumenti che ha avuto in dotazione.
Cioè, così come ogni persona è fatta, con i suoi difetti (di cui non ha colpa perché non ha scelto di volerli) e con i suoi talenti e pregi (di cui non ha merito perché non ha potuto fare niente per meritarli a priori).
Significa che il “progetto” prevedeva quel ruolo, e tutto ciò può avere un senso , anche se a noi sfugge perché non possiamo conoscere la “sceneggiatura” complessiva.
PILLOLE DI SAGGEZZA
Tutte le persone considerate mature, possono essere considerate anche sagge?
La saggezza dipende dall’età, dalla cultura o da condizioni ambientali?
Io fornisco, ovviamente, la mia personale definizione.
Per me la saggezza di ogni persona dipende da come sia stata in grado di incorporare le proprie esperienze di vita vissuta per trarne indicazioni comportamentali trasferibili anche agli altri.
La vita non ha coniato regole specifiche per ognuno di noi e mutabili nel tempo, ma regole generali (naturali) che poi vengono declinate in maniera diversa a seconda dei tempi, dei luoghi e delle persone.
L’importanza, quindi, è di saper risalire alle regole generali non scritte da nessuna parte, ma desumibili, come tutte le regole della natura, estrapolandole dalla vita vissuta realmente.
Ecco perché può essere considerato “saggio” chi ha vissuto con consapevolezza la vita e non soltanto letta o sentita raccontare.
Secondo questa affermazione, almeno teoricamente, le persone anziane, come io ovviamente mi considero, sono potenzialmente tutte sagge, perché hanno maturato esperienze di vita reale a cui poter attingere per estrapolare indicazioni generali esportabili e valevoli per altri.
L’essenziale è che siano disponibili ad effettuare questo lavoro di riflessione ragionata (processo di maturazione) per estrapolare quanto esportabile ad altri.
Solo oggi mi rendo conto quanto poteva tornarmi utile poter disporre, da giovane, di indicazioni di vita suggerite dalla saggezza di vita vissuta dalle persone anziane di allora.
Debbo affermare, ad onor del vero, che i miei genitori, pur carenti di istruzione formale, come normale ai loro tempi, hanno saputo orientare me stesso e gli altri fratelli con indicazioni di saggezza rivelatesi poi fondamentali per orientare il nostro futuro.
Certo, allora, tutto ciò è stato accettato più come atto di fiducia che di reale convinzione, appunto perché, da giovani, è quasi naturale sentirsi di poter fare “da soli”, con le proprie energie sicuramente maggiori di quelle disponibili per le persone anziane. A volte anche sbagliando.
Forse la soluzione migliore potrebbe essere quella di saper coniugare l’uso delle proprie energie giovanili con le indicazioni di saggezza delle persone mature che nessuna Wikipedia sarà in mai grado di sostituire.
L’eterno problema della dieta
La parola dieta deriva dal greco e significa “modo di vivere”.
Oggi ha assunto un significato di regime alimentare per diminuire il sovrappeso o per raggiungere obiettivi terapeutici.
Ecco perché, nel significato moderno, la dieta non può che avere un significato di intervento temporale, di provvisorietà appunto, perché si considera come un “regime”.
Secondo me sarebbe molto più importante recuperare il significato originario di dieta come modo di vivere.
Appare assai importante, oggi, acquisire regole alimentari disponibili per migliorare il modo di vivere, piuttosto che doversi sottoporre ad un regime di recupero.
Ci sono ormai alcune regole generalmente affermate che, sempre secondo me, valgono più di tutte le diete di cui possiamo teoricamente disporre. Soltanto indicativamente ed in maniera empirica:
a) mangiare di tutto, perché ogni ingrediente alimentare contiene specifici nutrienti importanti per l’organismo.
Siamo ormai in grado di distinguere perfino i nutrienti delle verdure e della frutta in base al colore delle foglie o delle bucce;
b) la quantità è fondamentale. Dobbiamo sapere individuare il nostro personale fabbisogno calorico, perché quello che non consumiamo, inevitabilmente accumuliamo.
Una regola empirica potrebbe essere quella di alzarsi da tavola avendo ancora un pò di fame (non sentire la sazietà).
Sempre meglio mangiare meno che troppo.
Il fabbisogno dell’organismo di oggi, indicativamente ed in termini quantitativi, è molto inferiore a quello dei nostri genitori.
c) mangiare equilibrato, nel senso che, se mangiamo di tutto, questo concetto racchiude anche quello di “equilibrato”.
Il nostro organismo sarà in grado di utilizzare quello di cui avrà bisogno, in termini di carboidrati, proteine, grassi, vitamine e sali minerali, senza
la necessità di dover ricorrere ad integratori di qualunque genere;
d) mangiare prodotti reperiti a "chilometro zero".
Per evitare di ingurgitare, molte volte inconsapevolmente, prodotti manipolati nei processi industriali, sostanze inquinanti, coloranti, pesticidi, lieviti, antibiotici, è sempre più necessario potersi approvvigionare dalle coltivazioni del proprio territorio, cioè prodotti localmente,“vicino casa”, non soltanto affinità ambientale fra consumatore e produttore, ma soprattutto perché vicinanza significa anche maggior freschezza, maggiore possibilità di controllo, minori manipolazioni e minori passaggi commerciali.
Fortunatamente oggi questa tendenza si sta sempre più affermando.
Rientra in questo ambito il bisogno di maggiore consapevolezza dei prodotti che acquistiamo.
Oggi esistono normative e strumenti per il controllo dei cibi che acquistiamo in qualsiasi emporio.
Però, dobbiamo ancora ad imparare a leggere e decifrare le etichette previste dalla legge e che descrivono la storia del prodotto acquistato. Non conoscere quello che acquistiamo è un errore e questo è imputabile soltanto a noi stessi.